Stralci dall'assemblea aperta di Rete
"La situazione non è ottimistica. È cambiato il governo ma non le ambiguità complessive; c’è un’emergenza continua. Tutti dicono che il terrorismo si supera con lo sviluppo economico, ma quale? Ci sono poche Ong che continuano a battersi per questo, con sempre meno fondi. Le guerre continuano a succhiare fondi alla cooperazione, vedi il caso del Libano più recente. I tagli sono ufficiali e ufficiosi, conle strategie di rimandare all’infinito i pagamenti. L’unica cooperazione che avanza è quella delle emergenze militari e naturali, noi pretendiamo di agire in un altro campo. Crediamo che la linea politica sia quella di creare rapporti privilegiati nei paesi del Sud del mondo e sul nostro territorio. Questo secondo punto direi che sia fondamentale per il lavoro dei prossimi mesi.Gli enti locali non dovrebbero farsi carico solo di aiuti di emergenza, ma di scambi attraverso le loro piccole e medie imprese, e il commercio equo. Noi possiamo essere in questo senso portatori di conoscenze."
"Sono rimasto sorpreso dall’evocazione del ruolo di un’ong nello scambio commerciale, che ritengo differente dalla cooperazione. Noi siamo un’agenzia no profit che si occupa di agire contro la povertà, anche se poi scambio umano e culturale c’è sempre. Siamo ancora un’ong di sinistra? E questo cosa vuol dire? Io mi ritengo ancora un anticapitalista, per la drammatica inversione di valori che il capitalismo propone. Lavoriamo spesso in società precapitalistiche e la nostra solidarietà dovrebbe basarsi sulla verifica delle possibilità alternative. Ci sono tesi differenti in merito, per esempio la scuola della dipendenza insiste sul valore del concetto “trade not aid”, cosa che io non credo, pur con tanti dubbi sull’aiuto come arma a doppio taglio. Con i nostri pochi mezzi possiamo fare molte cose cercando di non “dare assuefazione”.
Nella zona ovest esistono realtà interessanti, si può parlare di responsabilità sociale d’impresa. La controprova delle possibilità di questi tipo viene per esempio dai farmacisti di Torino, che hanno proposto di intervenire nel Sud del mondo per la produzione di farmaci generici in loco."
"Teniamo presente che i nostri paesi accanto alla cooperazione praticano un dumping che affossa le economie degli stessi paesi che vengono aiutati. Penso che sia importante premere anche su questo tema.
Date le difficoltà economiche degli enti locali, penso anche che dovremmo spingerli ad agire da trait d’union con i cittadini e soprattutto con le aziende.
MAE e UE stanziano cifre elevate di cui solo una piccola parte va alle Ong e molto al profit per la cooperazione, un approccio molto rischioso e su cui dovremmo ragionare e discutere."
Inoltre penso che sia importante, più che al commercio internazionale, fare riferimento soprattutto ai mercati locali nelle nostre azioni, alla filiera corta, proprio per principio.
Infine vorrei proporre un’idea: avviare qui dei tavoli di lavoro, periodici, tra noi e per esempio le organizzazioni che si occupano di agricoltura biologica e altre forme di alternative rurali; di commercio equo; con le nostre cooperative, e non solo."
"In Emilia Romagna si è creato, come diceva Daniela, un tavolo mensile tra ong e altri organismi ambientalisti e agricoli, che scambiano e creano sinergie. Penso che questo sia possibile anche in Piemonte. Sarebbe bene che la tutela ambientale si un punto di valorizzazione dei prodotti del Sud del mondo, che ne hanno le premesse e possono anche dare dell’utile alle famiglie.
Bisogna essere presenti comunque come gruppi motivati anche nei settori in cui stanno entrando le organizzazioni più bieche, comunque ne viene del bene.
Secondo me il prossimo passo nei paesi in via di sviluppo sarebbe quello di formare del personale, rigorosamente, per avere dei tecnici in grado di fare controlli sul posto, con minori costi e maggiore autonomia.
Nel commercio equo sono soprattutto l’importatore e il distributore a non essere limitati né come ricarico dei costi né come altre regole."
"Sono usciti a mio parere spunti interessanti. Quello di chiedere agli enti locali di farci da intermediari. Ricordiamoci che parlando di responsabilità sociale, noi non siamo di fronte a imprese più responsabili, ma più irresponsabili, che si limitano a darsi del belletto, dato che la responsabilità dovrebbe partire dall’interno, dai rapporto coi lavoratori.
È anche stimolante l’idea di lavorare con il movimento, per quanto poco appariscente, dell’economia solidale e sociale, in cui dovrebbero entrare anche le cooperative, a cui nessuno ha il coraggio di fare il processo.
Sono d’accordo anche che sia il mercato locale quello più importante. In Venezuela succedono cose interessanti, come i Nuclei di sviluppo endogeno.
Sull’agricoltura e il commercio agricolo ho invece i miei dubbi: non dovremmo mangiarci i nostri prodotti locali?"
Allora chiediamo alla sinistra italiana qual è il suo comportamento in delegazione europea. Sono i grandi numeri che cambiano gli indici, non le piccole realtà che salvano l’anima dei cattolici e poi dei laici.
Il coinvolgimento delle realtà locali non è spesso una questione solo di soldi, ma di utilizzo delle risorse esistenti, di scambio. Dobbiamo percorrere le strade degli enti locali, delle aziende municipalizzate, sulle loro competenze."
"Io vorrei proporre un tentativo di rapporto tra le organizzazioni di ong e la COOP, accordi non artigianali, sulle canalizzazioni, i prodotti equi. Negli enti locali chiediamo incontri diretti, e diamo seguito con altri incontri. La controparte va trattata come tale, non bisogna mollare la presa. E scrivere note su cui non è possibile equivocare."
"Le strategie devono entrare tanto di più a livello territoriale quanto più non si riescono a toccare le autorità verticali: il centro si aggira passando per le periferie. Recuperiamo per esempio gli interessi sull’area mediterranea, chiedendo dov’è finita la politica verso queste zone, nell’interesse anche di tanti altri enti piemontesi. Da approfondire con le ong e gli altri enti interessati, e da far valere anche per il Mercosur, appoggiamolo, raccogliamo le componenti delle economie locali e delle nostre.
La competizione si può superare secondo me proponendo dei tavoli comuni non su progetti ma su temi, per esempio sulla distribuzione dell’equo e solidale, dai temi possiamo risalire ai paesi e ai temi che questi sollevano."
"Sono d’accordo su tante cose dette, ho sentito un po’ poco però riflessioni su come Rete intende sviluppare la sua progettualità. Una serie di problemi dipendono da che scelte facciamo. Non è indifferente scegliere che tipo di agricoltura sostenibile appoggiare. Per esempio per me ha senso fare dei microinterventi limitati, ma che siano un modello da cui incidere; sostenere le basi, e decidere quali modelli seguire: autosussistenza, biologico.
Io non credo che dobbiamo avere solo un ruolo di cinghia, di trait d’union, ma di compartecipazione perché ha delle cose da dire."
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